domenica 29 aprile 2012

la prima volta di sempre

Camminavo… le nuvole stracciate in lembi dalle folate che, dritte dritte dal mare nascondevano a tratti le sferzate roventi dei raggi di un sole che splendeva come fosse l’ultima volta.
Camminavo la sabbia tra le dita dei miei piedi, camminavo la mia giovane vita… camminavo lasciando indietro i miei ricordi già sbiaditi in poco tempo per far posto a te… pochi passi avanti.
Camminavo dietro il tuo passo per poter avere il tratteggio del tuo corpo in controluce, col vento complice a disegnare le tue grazie facendo aderire le ampie volte del tuo bel vestito alle forme che tu, con gesti ripetuti e repentini, tentavi, e non tentavi, di celare al mio sguardo.
Ti fermavi, ti giravi e mi indicavi una conchiglia da raccogliere, o un bagliore in lontananza che tardava a rivelarsi in un gabbiano. Ti fermavi, e sapevi che mancavano pochi passi ad un mio bacio, che volevi, facendo finta che fosse per caso… che invece veniva dagli angoli più segreti e nascosti a tutti, tenuti per me.
Ti fermavi, io sollevavo nuvole di sabbia per fare in tempo a cingerti la vita prima che tu volassi via di nuovo… ma questa volta mi aspettavi, immobile, come non avessi peso, e ti lasciavi addosso a me, mi regalavi il fresco delle tue labbra dischiuse, e il profumo della tua pelle che avevo dentro dalla prima volta che ti baciai la mano, a quella festa, quella strana festa di danze che nessuno di noi due sapeva ballare.
Fu proprio lì che mi dicesti il tuo nome, un nome dalle curve morbide, slanciato in alto… come te… Eloise.
Ma ora ti baciavo, e sapevo che quel tuo sapore sarebbe scivolato in fondo alla mia anima per non uscirne mai più. Ti baciavo, eravamo un unico respiro, eravamo accesi in un sole nostro, esclusivo… era la danza dei nostri sensi… non ne conoscevamo ancora i passi, ma volevamo ballarla.
A ridosso di una duna vidi un palmizio isolato, altissimo, e poco più in là un groviglio di foglie modellato a pergola, poi abbandonato ad aspettare noi; il vento ci giocava, come giocava con quella ciocca bruna dei tuoi capelli che era riuscito a liberare dal giogo della tua acconciatura.
Eri stanca, io fingevo di non esserlo… ti feci sedere sulla sabbia, che sotto la pergola era docile e fresca.
In aria, confusa al vento, si levò una musica… sconosciuta, ma già sentita… sconosciuta, ma già sentita senza sapere né dove né quando… i tuoi occhi erano chiusi, sembravi voler cedere al sonno, ti accarezzai la ciocca di capelli che si ostinava a ricadere sul tuo viso, ma tu mi prendesti la mano come per fermarmi… te la portasti all’orecchio, con l’altra mano, con un unico sapiente gesto, ti sciogliesti i capelli… ti vidi donna, col tuo sguardo velato che seguiva le trame di danza di quella musica che non esisteva, se non in noi.
Fu in meno di un attimo che la musica ci prese per mano, la musica dolce e tumultuosa dei nostri sensi, in un abbraccio che da tenue si fece serrato… in un amore che ora era amore delle nostre mani, delle nostre bocche, dei nostri corpi avvolti in un letto fatto dei nostri vestiti… il più morbido ed avvolgente dei letti in cui fare l’amore, e farlo come fosse da sempre e per sempre…
la prima volta di di sempre.

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