mercoledì 17 aprile 2013

Mia nonna mi diceva sempre "Guarda in alto..."
















 In questo giorno,
come ogni giorno:
aprire gli occhi,
ricordarsi di accendere luce sulle cose,
trovare un posto in cui sederti...
senza chiederti perchè,
senza guardarti da fuori...
restare un attimo indietro,
ed ostinarsi a non voler inseguire...
correre forte in avanti...
che non ti vedono,
che non ti trovano...
che sei in anticipo sull'ora legale,
e quella illegale della rivoluzione!...

Ricordarsi di chiudere il gas e dare un bacio a tutti.

Poi, con calma, nella notte
come ogni notte
ricordarsi di risorgere a nuova vita.

Buongiorno
just born now...















Ho imparato da piccolo a lanciare lontano i sassi, senza voler colpire niente. 
E quei sassi erano i miei pensieri. 
Alcuni finivano in qualche fosso, ai lati di una strada, come volessero rinunciare al viaggio.
Altri in mezzo ad un campo seminato a grano, destinati a crescere fino al raccolto.
I pensieri docili li lanciavo sul fiume, a pelo d'acqua... a volte rimbalzavano, e si moltiplicavano, fuori dal mio controllo. A me chiedevano solo forza.
I sassi dei pensieri brutti li scagliavo contro una parete dura... che si spezzassero, si sbriciolassero in polvere che se ne volasse via. Lontano da me.

Il giorno in cui ho incontrato te non ero più bambino da molto... e avevo disimparato a lanciare i sassi. 
Da grandi non si lanciano piú i sassi, e i pensieri si ingolfano in altri pensieri, ristagnano lì, e lì dentro spesso c'è poca aria.
I sassi sono levigati dal vento, e dall'acqua... prendono forme di vento e di mare, o fiume.

I pensieri, da grande, prendono la forma che la tua vita gli ha dato... forme complicate, a volte.

Poi sei arrivata tu, a levigare i miei pensieri... e tutti prendevano la tua forma, piú bella del mare e del vento, per me.
Io ti lanciavo i miei pensieri, ed avevo te, in cambio.
Fossi stato ancora bambino avrei capito come darmi a te, in cambio dei tuoi.
Invece ero rapito da quel mondo che regalavi ai miei pensieri. 
Stavo lì dentro tutto il tempo. Tutto il maledetto tempo che restava prima che tu ti accorgessi di non aver piú voglia di lanciare nulla.

Così non mi vedevi piú.
Io ero una cosa immobile e sospesa. Ero nebbia.

Amore è quando c'è vento forte, mare profondo, grano maturo da cogliere. Ma non nebbia.
I pensieri che lanci come sassi nella nebbia si perdono.

Amore è quando nulla va perso.











Poi ci fu quella volta in cui mi parlasti delle cose che fanno male.

Le parole sono come lame, dicevi, e possono ferire, se non sai come prenderle.
Io mi sentivo già tutto insanguinato, del mio sangue e del tuo.
La gente, dicevi, non si rende conto di quanto le cose che dice possano ferire....... manco io me ne rendevo conto, perché in quel momento ero distratto dalla tua bellezza, che mi arrivava a folate con i raggi di sole. 
Allora tu rimanesti ferita, dicesti che non ti stavo ascoltando, che era una cosa importante quella. Provai a spiegarti che ti stavo guardando, ti dicevo che sei bella quando pensi ed hai il cipiglio fiero di chi pensa.
Niente da fare. Eri ferita. 
Allora provai a dire che io di solito sto attento a non ferite nessuno, e che non penso mai alle mie parole come lame.
Niente da fare.
La gente, dicesti, se tu parli dovrebbe ascoltarti, e non pensare ad altro... 
- Io non pensavo ad altro, io pensavo a te!... 

- Non mi ascoltavi!...

- Invece ascoltavo, e ti guardavo...

- Non mi prendi sul serio!!!...

- Ma che dici!... non è colpa mia se la gente se la prende per nulla... le mie parole non sono lame!... io... ah, ho capito!... ti riferisci a quello che ti ho detto riguardo a quella storia della mia incapacità a riconoscere figure autoritarie... vabbè questo viene dalla mia vita... e non mi riferivo alla faccenda di te e tuo padre...

Tu lasciasti perdere.
Ma c'era sangue dappertutto.
Mi guardavo le mani: erano insanguinate.
I tuoi occhi, le tue pagliuzze dorate che cambiano colore con il sole, erano velati del tuo sangue giovane.
Mi sentivo in colpa... mi condannai a trent'anni di carcere, in isolamento.
Ma un tuo improvviso sorridermi commutò immediatamente la condanna in mezz'ora di arresti domiciliari con la condizionale, da riscattare immediatamente con la cauzione di un bacio.

Ci siamo baciati, tenendo basse le mani, senza parole e senza lame.

I baci sono lame che potano, per far crescere meglio, per sfrondare i grumi di sangue.








Usami questa premura
togli ogni virgola da ciò che dico
vorrei solo aria dal tuo foglio bianco
vorrei solo piccole macchie interrotte
vorrei tu sapessi come entrare
dentro la mia voce
vorrei tu mi mettessi in tasca
l'inchiostro della tua penna
smarrita tra le foglie
perchè,
usami questa premura,
serve che tu sappia 
ciò che non so dire


Tutti a dire che nevica... che non è normale una primavera così... che qualcosa dev'essersi rotto per sempre...
Mi ricordo tante nevi di marzo, e anche d'Aprile... come quella volta che è nato mio fratello, e i mia mamma l'ha dato alla luce nella sua stanza, in piena notte, con l'aiuto della mitica Ghina... che ci ha fatto nascere tutti.
Mi avevano esiliato qualche piano sotto, in casa di amici, e io, tanto per non smentirmi, ho fatto pure la pipì a letto. 

Pensavo mi avessero adottato per sempre, e speravo che lì non si facessero altri figli, sennò sarei dovuto andare ad annaffiare qualche altro letto.
Fuori nevicava, poi però è venuto il sole, e io sono fuggito fuori. 
Ma mi cercavano. Volevano che facessi conoscenza con quel pargolo biondino.
Quando lo vidi mi piacque subito... era simpatico, e decisi di tornare di buon grado a pisciare nel mio letto.
Non godevo più del centro dell'attenzione, e questo mi permetteva di sgaiattolare fuori più spesso.

E così iniziò la mia vita randagia, parlavo con il barbiere Gianni di mio fratello, e del fatto che quando è nato nevicasse anche se era il 31 aprile.
Lui era un noto barbiere-filosofo, e mi disse che la neve non porta mai la carestia, che sotto la neve c'è sempre il pane...

A me piaceva molto il pane, e lo davo anche a mio fratello.







Le forme più acute di nostalgia sono quelle in cui si rimpiangono cose mai vissute.
Nessuno potrà togliermi il ricordo di ciò che non è successo in quel giorno che avevamo tanto atteso... quel giorno in cui saremmo dovuti partire per una lunga vacanza di poche ore.
Avevamo deciso che saremmo andati sulla riva di quel piccolo lago che nella nostra memoria era grande come un oceano, e che i minuti sarebbero stati ore, e le piccole innocenti carezze sarebbero state tutta l'innocenza bambina delle nostre infanzie. 
Avevamo deciso di essere già stati lì, da bambini, insieme, e ci amavamo con timidi sorrisi, sfiorandoci a simulare che fosse per caso.
Avevamo deciso che sarebbe stata estate, una di quelle estati bambine, eterne e sospese a galla tra i canniggi ed i cerchi d'acqua delle libellule.
Avevamo deciso che poi all'improvviso saremmo stati adulti, senza la fatica di diventarlo.
Io avevo portato la chitarra, e sapevo suonarla senza la fatica di aver dovuto imparare a farlo per anni... tu mi guardavi senza tutta la fatica per imparare a leggermi.
Sapevamo evitare che i pensieri lievitassero per diventare idee.
Poi i nostri corpi si sarebbero incontrati senza che l'aria attorno opponesse resistenza, senza che sapessimo già tutto a memoria.
E tu non sapevi ancora come pettinarti i capelli... che ti cadevano sul viso giocando con le tue mani, loro volevano averne controllo... ma era una danza, di quelle senza passi studiati...

Non ci siamo andati, a quel lago. Non era possibile.
Le nostalgie più acute si nutrono di quelle isole di tempo che qualcosa o qualcuno non hanno reso possibili.
Tu avevi il corso di francese, ed io ero in ritardo rientrando da uno dei tanti dove.

Non siamo più voluti andarci, a quel lago.
Non volevamo andare lì e trovarlo diverso, o ritrovarci noi, diversi.

Ma quel lago è dentro di noi... ha un bel posto tra le cose che ci avvicinano.













Per conoscere bene una persona, ed il suo modo di vedere il mondo, basterebbe fargli ascoltare la scansione di un metronomo, alla stessa velocità, poi osservarla con attenzione.
C'è chi va in ansia e tende ad essere annoiata dal battito, vorrebbe fuggire avanti ad esplorare il futuro.
C'è chi si agita perché tutto corre via velocemente, insieme al suo passato che rimpiange, allora è infastidito da quel battito implacabile che non lo aspetta, e se ne va.
C'è invece chi si adagia esattamente sulla scansione, e se la fa piacere, perché ha letto da ogni parte che bisogna vivere nel presente, stare immobile e concentrarsi sul pensiero positivo, sorridere alla bolletta del gas ed alla decrescita felice.

Poi c'è mio cugino, che ha swing. 
Raccoglie le gambe come può, ma sta proteso di un attimo in avanti, in leggero e morbido anticipo sulla scansione... come si fa per camminare... tieni un po' del peso del tuo corpo a favore del passo successivo, e se ti fermi sono i tuoi pensieri ed i tuoi sensi ad andare avanti a continuare il passo.
Così la tua anima si infila comoda tra le virgole di silenzio tra un battito e l'altro.

Mio cugino dice che se ci riesci la vita suona diversa... non frani più sotto il peso del presente che... cazzo ma dove siamo andati a finire!?... non ristagni più nel restyling del tuo passato che... cazzo quante ne ho dovute ingoiare!!... non neghi il futuro che... cazzo ma dove andremo a finire di questo passo??... oppure non ti ci vai a rifugiare... che... cazzo, arriverà quel giorno!!...

Gli alieni viaggiano nello spazio sconfinato, quindi nel tempo... così sembrano aver risolto il problema, ma parcheggiano sempre a mezz'aria, perché... non si sa mai!...

Bach, Mozart, Dostojevsky, Ellington, Trane, Borges... 
questi qua riescono a dare l'illusione di quel grammo avanti sul loro presente...

quindi senza mai farsi sorprendere dall'eternità imminente.

Buongiorno my friends...
really don't know what I meant, but I had a good... time




Quando ti incontrerò andremo in quell'osteria, ci sarà posto nel patio, all'ombra del platano albino, e tutto sarà estate. 
Vedi mia cara, c'è sempre posto lì, perché quello è uno strano albero nudo, e non ha niente di ciò che la gente chiede agli alberi... niente verde luminoso e niente rughe brune di corteccia.

Ma io ti ci voglio portare, lì.
Perchè fanno una buona cucina di poche cose, sempre le stesse, perché tu possa imparare quei sapori e non dar loro più alcun significato che non sia quello che già hanno.

Ti ci voglio portare perché tu perda quel maledetto vizio di decidere.
Andremo lì per caso, quando saremo in giro da quelle parti, e se saremo in anticipo, o in ritardo, non se ne farà nulla, non ci fermeremo.
L'ultima volta che siamo capitati lì per caso eravamo ancora giovani, e il platano albino quasi non s'era accorto di noi. Quando sei giovane la gente si accorge di te solo perché hai una luce inquieta negli occhi, ma gli alberi non sono gente. 
Tutto quel chiarore discreto aveva fatto da sfondo a quelle nostre ore... un'ombra timida, quasi una carezza ad abbassare le luci sul nostro cercarci con le parole.
Quando saremo giovani ancora torneremo lì per caso, e non sarà un tornare, sarà solo un posto come tanti, uno di quei posti da cui la vita passa per caso, per ragioni sconosciute... per una combinazione vincente nel lancio dei dadi.




Certe cose che scrive Paul Auster è come fossero su un piano inclinato, prendono velocità pian piano e si affidano al vento per frenare.
Trovo meravigliose cose simili. La dinamica sei linguaggi mi ha sempre affascinato... gente come Dexter Gordon suonava in salita, senza mai dare l'idea di fatica. Bird non toccava mai terra... e In Bach c'era il moto perpetuo.

Io, in tutta modestia, devo dire che l'andare in discesa, contando sul vento per frenare, l'avevo già sperimentato da piccolo.
La mia bicicletta aveva dei freni che funzionavano sfidando le leggi della logica, la quale, quando ti serve, viene meno ai suoi principi, mentre quando speri in una sua clemenza è implacabile.
Infatti un giorno mi ero pigramente avviato in una discesa piuttosto tenue, una specie di piano inclinato... non pedalavo, ed era bello prendere velocità a poco a poco, appena trattenuto dal vento che mi massaggiava la fronte.
Ad un certo punto, per misteriose ragioni, ebbi la sensazione di volare, e decisi di modulare la velocità con un colpetto di freni... ma tutto il blocco della pinza saltò in braccio al vento. 
Provai a frenare un po' con i piedi, ma avevo i sandali, ed era un casino.
Il vento mi era sempre stato amico, e lo pregai di darmi una mano, ma lui forse era impegnato a spingere le barche a vela, oppure doveva asciugare i panni stesi di mia mamma... 
sempre così nella vita... i freni devi averceli tu, quando servono.

Ho una bella cicatrice al centro della fronte, a testimoniare che sono un antesignano del piano inclinato senza freni e in braccio al vento.

Mio cugino dice che gli alieni vengono giù senza freni perché capiscono il vento... sin da piccoli gli fanno studiare ogni tipo di vento su ogni tipo di pianeta. Se vogliono sanno evitarli tutti e non spettinarsi mai. 
Finiscono per odiarlo, il vento, ma poi, chissà perché, s'incazzano quando non c'è.
Allora vanno in giro per il cosmo a cercarlo.

buongiorno
gone with the wind... and test your brakes



La primavera arriva sempre in un coro di attesa. Non ce n'è una che puoi ricordare esattamente com'era... ma tutte si sono fatte attendere.

Tanto tempo fa, ad un concerto, una ragazza mi disse che quell'anno la primavera sarebbe arrivata in anticipo, in un mattino, all'improvviso, di colpo, preceduta da una notte di nebbia... ci avrebbe sorpresi, e non ancora pronti, come un immenso fastidio di fiori inopportuni ed invadenti, come le onde dell'oceano, a farci spremere gli occhi per la troppa luce, come la rivoluzione che doveva arrivare, come questa nuova musica che non ti aspetta, va avanti con furia ad allagarti l'anima e non chiede il permesso per entrare.
Disse che quella primavera sarebbe stata ricordata per sempre.

Poi all'improvviso pianse... piangeva un suo dolore, piangeva forse una primavera mai arrivata... piangeva qualcosa che era dentro di lei, imprigionato, incatenato ai fondali del suo mare profondo.
Era il suo modo di accarezzare la cicatrice di un'antica ferita lasciata laggiù in un inverno buio che si era costruita dentro, come una gabbia.
Non ricordo cosa le dissi, ricordo però cosa avrei voluto dirle... volevo dirle di aprire quella gabbia, perché la sua primavera inattesa sarebbe arrivata domattina, e non avrebbe potuto cancellarle quel dolore, ma il suo disordine di fiori sarebbe arrivato anche laggiù, sulle rive secche di quella cicatrice.
Perché ognuno di noi è un prato di fiori, prima o dopo che sia... se solo perdessimo quel maledetto vizio di volerli disporre secondo le nostre geometrie.
Costruiamo così tante cose ordinate, perché l'ordine serve a placare la madre di tutte le ansie. 
Ma l'ordine diventa importante soprattutto quando impariamo a non aver paura del disordine sublime delle primavere.

Io ricordo mia nonna, nel suo giardino.
Imponeva la sua timida geometria alle piantine, perché mio padre voleva che ogni cosa fosse assolutamente al suo posto. 
Ma ad ogni primavera i fiori esplodevano ovunque, attorno a quei filari sbilenchi. 
Ricordo il disappunto di mio padre, ma soprattutto ricordo lei, piccola com'era, in mezzo a quel chiasso di colori, a sorridere alle sue cicatrici ormai dure come roccia lavica. 
La ricordo a sussurrare qualcosa come una preghiera, ringraziando per il miracolo che il suo dio le faceva dimenticandosi fiori ovunque, anche nei suoi vulcani spenti.

Vogliamo giardini ordinati, e togliamo la gramigna, dimenticandoci che per i fiori spesso la gramigna siamo noi.

Vabbè questo è esagerato, lo so... ma mi piace come suona.

Buongiorno
Your thoughts sound just like flowers... set them free







Mio cugino, quando era il più illustre concertista di dedalo frigio (era l'unico a suonarlo), una volta venne intervistato ad Amsterdam. Le cose che ti chiedono sotto il livello del mare sono insidiose, ma la giornalista si limitò ad una inevitabile e risaputa domanda:

Cosa c'è dietro le cose immaginifiche che fa con quel suo ineffabile instrumento?
- Dietro?...
- Sì... cosa c'è dietro?
-... un attimo che guardo...

La giornalista lo guardò un po' così. 
Ma lui continuò:

- Dietro non c'è niente. Invece davanti ci sono un sacco di cose... tutto quello che suono viene da davanti...
- Ah, capisco... quindi lei è ispirato da ciò che vede... non si direbbe, visto che quando suona tiene sempre gli occhi chiusi...
- Io intendevo dire che guardo a ciò che deve ancora venire... la musica si muove nel tempo, e a me interessa quello che c'è davanti.
- Capisco.... ma allora qual è il suo rapporto con la memoria?...
- La memoria è già dentro quello che siamo fin qui... è nelle nostre mani, ed anche nello strumento, ma a me piace dimenticarla e guardare avanti...
- Certo. E' molto chiaro... però tempo fa ho letto di un suo seminario sul rapporto tra musica e memoria, che si sarebbe dovuto tenere a Roma, ma poi lei non s'è fatto vivo... era una provocazione?...
- No. E' che mi sono dimenticato di andarci.

buongiorno
Spring is here right now. Forget those fuckin' foggy days



La prima cosa del mattino può essere un timido chiarore oppure un abbaglio che ti fa strizzare gli occhi... 
la prima cosa del mattino può essere una parola, una carezza, una virgola di gioia improvvisa al pensiero di qualcosa che ti aspetta... oppure il boato soffocato di un timore, di una paura che ti ha camminato dentro anche nei sogni... 
la prima cosa del mattino può essere tutto questo ed altro ancora...

Io voglio che sia il silenzio di una parola che ti dici, dentro...una parola magica... una password di zero lettere che in realtà non è che la parola zero di tutte quelle che dirai e ti dirai, che scriverai o non scriverai... che ricorderai o dimenticherai... la prima del giorno a venire e l'ultima della notte andata...





Un tipo mi ha appena detto un sacco di cose, e sembra davvero avere una soluzione per tutto. Proprio per tutto.

Dev'essere uno che da piccolo faceva i rebus sulla settimana enigmistica poi andava subito a vedere la soluzione nelle ultime pagine per constare che ci azzeccava sempre.
Io invece non vado mai a vedere le soluzioni, guardo i disegnini e immagino tutte le storie possibili... preferisco crogiolarmi nell'errore, e vorrei dare vita ad un movimento di liberazione dalle soluzioni chiuse... le iscrizioni sono aperte, ma se poi si iscrive questo tipo qui so già che troverà tutte le soluzioni per la nostra causa e rovinerà tutto.

buongiorno
could it be that way?



Bisogna avvicinarsi, molto.
Guardare da vicino, anche se ti bruciano gli occhi.
Poi, per vedere bene, allontanarsi per avere la visione... come in una fotografia.
Come in una musica.
L'architettura è nello sguardo, anche se quello che vedi è solo buio.




Allora suonai quella nota
come fossero tutte le altre insieme
ma nulla si mosse
tutto era fermo
aria immobile

poi tu
il tuo timido vento
e altra musica

e altra ancora





Tutte le domande che facciamo a noi stessi ad agli altri alla fine non sono che un'unica domanda, e tutto ciò che siamo ha a che fare con la risposta a quella domanda... che per fortuna non arriverà mai.
Chi ti ama lo riconosci, perché ti guarda come se tu fossi la sua risposta.
Ti accorgi di essere vecchio da due cose: la prima è che sembri tuo zio in quella foto al mare... la seconda è che ci metti un attimo a trovare le chiavi di casa nei meandri infiniti delle tue tasche.



C'è sempre qualcosa che rimane indietro, da aspettare... o da lasciare che si smarrisca a vita propria. Qualcosa che poi ti ritorna negli occhi chiusi del sogno, o nelle pieghe invisibili del tuo giorno.
Così non sai più se quelle cose le hai vissute, o erano appunti presi per una storia da scrivere, per una danza che avresti voluto saper danzare, o per una vita nuova, a venire... prima o poi.

Così io mi ricordo di te, e ti vedo a fare cose che forse non hai mai fatto, e forse io volevo tu facessi.
Mi ricordo di averti visto ballare e sorridere su quei miei pochi accordi, per aiutarmi a farli diventare musica. 
Musica bambina, di quelle che scivolano graffiando via il tempo senza ferirlo, senza farlo sanguinare.
Così io mi ricordo di quella musica bambina, fatta di temi senza peso, capaci di cambiare direzione ogni giorno. Tutto ciò che c'era era l'idea di un ritmo, capace di sostenere i colori e le armonie dei nostri giorni a venire.
Forse questo è quello che chiamiamo musica.


Un cane, piccolo, molto piccolo rispetto al mondo, attraversa la strada.
Qualcosa, e non sa cosa, gli dice che deve andare di là.
La sua razza è incerta, molte, molte razze assieme, lui è l'onda lunga di un sangue di molti umori ed amori mescolati insieme... la sua razza non è una razza, e il suo collare è solo una ruga scura di pelo. 
Tutto in lui è incerto, eppure si muove nel mondo gettandosi i giorni alle spalle.
E adesso attraversa quella strada. Ai cani capita di decidere, in un attimo, che il mondo è di là, e ci vanno. 
Anche agli umani capita a volte, in un niente, di capire che il mondo è di là. Ma pochi ci vanno.
Eppure quella strada è piena di macchine... tutto un andare, in ogni direzioni... al cane capita di credere che gli umani disegnano i loro pensieri in modo diverso, e seguono strade grandi e nere, si ostinano sempre ad andare dove la mappa della loro vita dice di andare.
Per lui, piccolo cane, nato per caso e per un ostinato istinto di conservazione della specie, le mappe sono disegnate dall'olfatto. 
C'è sempre un odore da seguire, che ti invade fino alle ossa, che ti racconta il mondo ogni volta diverso.
E quell'odore lo devi seguire.

Ma sei un piccolo cane, e il tuo cervello non può calcolare la corsia di sorpasso, le moto che un lampo prima non c'erano, i camion, che ti fanno il cielo buio e ti sembra che sia venuta notte, con quel fumo denso che devi abbaiarlo tutto fuori per non impazzire.

Devi andare di là, e ci vai.
Stai per buttarti, senti forte l'odore misterioso che ti attira di là, e ti butti.

Ma un tipo in bicicletta frena, e con un calcio ti butta indietro, sul marciapiede.
Sei profondamente offeso da quel gesto. Hai preso chissà quanti calci da quando sei al mondo. Non ti hanno mai fatto male, ma dentro eri offeso. Molto offeso.

Dal marciapiede vedi che il tipo in bicicletta s'è fermato, e viene verso di te, allora abbai forte e fitto... ti fermi a rifiatare e pensi a quanto sono brutti gli umani quando ti guardano abbaiare, sono invidiosi della tua voce, la loro non dice cose chiare, non hai mai capito cosa dicono, ma i loro occhi sono potenti... devi difenderti, o abbassare lo sguardo.
Loro non hanno la coda, non hanno un timone delle emozioni come il tuo, che dice chiaro come ti senti.
Ma hanno quegli occhi, e quelle mani, quelle bocche che si muovono rapide e non vedi mai la lingua.

Il tipo della bici, ora ce l'hai davanti, sei stretto in un angolo e non hai più fiato.

Lui si abbassa, e ti prende il collare, te lo cerca sotto il pelo e te lo toglie... dentro c'è un nome, scritto col pennarello e cancellato. A fianco del nome cancellato c'è scritto "Vaffanculo"... 

Senza collare ti senti nudo, non hai più un nome, quel nome lì, l'ultimo che t'hanno dato, ti piaceva. 
Sì, Vaffanculo ti piaceva molto, ma quello che te l'aveva scritto sul collare un giorno ti ha mollato in una discarica.

Il tipo della bici ti accarezza sotto il mento e ti tiene in braccio.
Tutto questo è contrario alle tue regole... mai farsi staccare le zampe da terra... ma ti piace.
Quel tipo ha un odore quasi di nulla, forse è nato ieri, o viene da un sogno.

Ti mette nel cestino della bici, senza collare.
Tu puoi rilassarti, ci pensa lui a schivare le macchine.
Questo è contrario alle tue regole. Mai affidarti a qualcuno per andare nel mondo.

Ma stai lì, nel cestino, assaggi il vento con la lingua.
Potresti anche dormire.
E' contrario alle tue regole. 
Mai dormire affidandosi a qualcuno, e fidandosi di come lui si fida del mondo.

Allora lo aiuti a guidare con il timone della tua coda, e andate di là.

Adesso sai perché volevi andare di là.









Come sempre, è ora

come ora, è sempre

ora è come sempre

come è ora, sempre

come è sempre, ora




Tema

La chitarra elettrica


Se facevo il bravo, da piccolo, mi avevano promesso una chitarra elettrica. 
Questo me l'hanno detto in un momento di festa, appena prima che smettessi di fare il bravo bambino. 
Mia sorella aveva un moroso che suonava il basso. Mio babbo non sapeva a cosa serviva il basso. O forse sì, ma non gli piaceva per niente. E di sicuro il basso non gli piaceva suonato da quello lì, che invece a me mi piaceva molto, e non lo so perché. 

La chitarra elettrica nella mia infanzia la suonavano Santo & Johnny, uno dei due, non mi ricordo chi, aveva una chitarra stesa che stava in piedi su quattro gambe... secondo me quella chitarra era molto elettrica, e faceva delle note come la voce. Poi la chitarra elettrica la suonava Van Wood, che era olandese e rideva sempre molto. Mio zio diceva che lui era il più bravo del mondo, ma voleva fare il presentatore alla nostra tivù.

Alla mia mamma gli piaceva molto la chitarra elettrica che c'era nel telefilm di Bonanza, la mettevano sempre quando i cow boy andavano forte a cavallo con tutto quel polverone che agli indiani non gli faceva niente e invece a loro sì, e per questo si tiravano su i fazzoletti nella faccia.

La mia mamma quando sentiva uno che suonava la chitarra con la maniglia del vibrato gli piaceva molto, e mi diceva che quello lì la faceva parlare, la chitarra.
Volevo che mi regalassero una chitarra elettrica parlante, con la maniglia del vibrato... anche se io non ci credevo che la chitarra poteva parlare. 
Però ho cambiato idea quando nel cinema dal prete a Serravalle dei ragazzi grandi avevano messo su un film dove c'era un sacco di gente, e qualcuno anche nudo, che stava a sentire uno che suonava una chitarra elettricissima, tutta bianca e con la maniglia del vibrato che penzolava giù, quando lui non la teneva. 
Quello lì a un certo punto ha spinto un pedale elettrico, e la chitarra urlava e delle volte sembrava che piangesse, ma non era vero che piangeva, o forse sì, non lo so. 
Lui era molto spettinato, e a me mi piacevano quelli spettinati... poi c'aveva anche un cappello con la penna da indiano, ma non lo so se era indiano. 
A un certo punto nel film i poliziotti trascinavano via degli spettinati nudi, e lui da lassù ha spinto il pedale avanti e indietro, e ai poliziotti gli ha urlato facchiùùù... ma con la chitarra, però. 
Così non era peccato, e non era neanche una parolaccia... però forse in americano sì.

Il barbiere Gianni, quello che aveva il negozio nella piazza, diceva che prima di suonare la chitarra elettrica devi imparare con quella normale. Lui sapeva sempre tutto, ma non l'ho mai visto suonare niente.

Un giorno con mia sorella sono andato all'Arlecchino, dove i più grandi ballavano, anche nel buio, e i maschi gli volevano dare i baci alle femmine, che non volevano, ma alcune sì. 

A suonare c'er UnKa MunKa, lui faceva parlare l'organo, ma prendeva un sacco di spazio. E se me lo regalavano, l'organo, nella mia casa non ci stava. 
Di fianco a lui c'era uno che suonava una chitarra elettrica nera, senza maniglia, mi sembra. 
Però aveva molti pedali, e diceva facchiù di continuo a tutti. Mi sembrava che me lo dicesse anche a me che non ero un poliziotto e non gli avevo fatto niente.
Però comunque mi piaceva molto come suonava, e secondo me gli piaceva molto anche a mia mamma, se lo sentiva.
Il vigile della piazza era un mio amico, e mi dispiaceva quando diceva che all'Arlecchino facevano troppo scaramazzo, quei drogati.

Quella volta che mi ha seguestrato il pallone non era più mio amico, il vigile. 
E se mi avrebbero regalato una chitarra elettrica con la maniglia e i pedali gli avrei anche detto facchiù!!!... o forse no, dai.

Quando ero grande quasi come adesso, nel futuro, alla mia mamma, che purtroppo è ritornata bambina, ma una bambina vecchia che non capisce più il tempo, gli ho fatto sentire per sbaglio nella mia macchina Bill Frisell che fa dei suoni strani quasi che parlano... la mia mamma ha detto che lui la chitarra la fa parlare... senti come la fa parlare, quella chitarra!!... prima ho riso un po', poi ho pianto un pochino anche se ero grande quasi come adesso, in quel futuro di pochi anni fa.

Grazie Bill Frisell, che parli alla mia mamma!

Quando ti incontro te lo dico.











Il cielo insiste nel suo manto di nuvole, e se la notte ha portato a riva cose che non sono più allora devo raccoglierle e guardarle ancora una volta.
In molti ti dicono che è meglio non vederle, ed aspettare che tornino ad essere ingoiate dal mare.
Ma io voglio guardare. 
Voglio vedere... vedere sempre.
Il coraggio degli occhi, e delle orecchie... sempre.
C'è una conchiglia dorata, è mia madre.
Il mare ha deformato e mutilato la sua luce... le onde, con la loro cadenza urgente e distratta, hanno violato il vivo dei suoi colori. 
Il vento che anima gli oceani ha tradotto in un'altra lingua il suo pensiero, le parole, sbalzate in aria, vanno in frantumi e i detriti le si posano in gola. 
Tutte le virgole sono fuggite via, e i suoi occhi le cercano con angoscia.
Ho sempre parlato con lei attraverso la musica, perché è da lei che mi viene la musica, e vorrei che a lei tornasse... perché nella musica si possono usare moncherini di parole, alluvioni di silenzio e virgole fuggite.
Ho scritto un brano per lei, stanotte, e suonarlo mi fa star meglio.
Spero riuscirà a parlare la sua lingua senza regole.
Lo chiamerò "Le virgole fuggite".








FA_ diesis

Una volta un mio allievo di chitarra arrivò con una di quelle belle certezze definitive.
Mi disse di aver deciso che la sua tonalità preferita era Fa diesis.
Gli chiesi se era per via della sinfonia n° 10 di Mahler in F#maggiore... lui disse di no, disse che gli suonava bene e basta.
Poi mi chiese se avevo qualcosa da obiettare. Risposi di no... io non obietto quasi mai su niente, è uno dei miei vizi preferiti, insieme a d altri ben noti.
Però gli feci trasportare in Fa diesis tutti i brani che conosceva.
Era entusiasta dell'idea, e si mise al lavoro.
Dopo un po' di tempo venne e mi disse che non ne poteva più del Fa diesis... "non è possibile!... Mi piaceva tanto e adesso non la sopporto più..."
Andò avanti per un po' così, e devo essermi perso qualcosa nel suo discorso, perché ad un certo punto capii che stava parlando della sua ragazza, era lei che non sopportava più, poverina.
Qualcosa nella sala macchine del suo cervello era andato fuori fase, la sua ragazza adesso la vedeva in Fa diesis, con tutti quei diesis in chiave, e tutto s'era complicato di brutto.
Mi disse che la vita è strana.
Mi chiese cosa ne pensassi.
Risposi che non mi ero mai posto il problema... 

Però la relazione con la sua ragazza sembrava andare avanti, anzi, volevano sposarsi... (!?)... gli dissi che avevano la mia benedizione.

Seppi che avevano fatto molti viaggi, in tonalità diverse, e alla fine avevano anche trovato una casetta accogliente, calda e comoda... in Do maggiore, e li progettavano di viverci per sempre.

Mi chiese dove abitassi, e in che tonalità fosse la mia casa...
Gli risposi che abitavo a Borgo Maggiore, fuori dal sistema tonale.

Ora hanno due bei gemelli, tutti e due in La bemolle. 
Stanno cercando una casa due toni più in basso.










Ricordo come fosse ieri quando mio cugino è stato espulso dal catechismo. 
Si stava parlando di come le nostre azioni siano guidate dall'alto, e lui alzo la mano e disse che era vero... disse che gli alieni hanno sofisticatissimi telecomandi, e se beccano la tua frequenza ti fanno fare quello che vogliono.

Potrebbe essere vero, perché vedo continuamente gente che fa le cose come fosse guidata a distanza da un remote control. 
Un tipo stamattina è entrato di spalle al bar, spingendo la porta con la schiena, come avesse in mano qualcosa di pesante. Invece no. Non aveva niente in braccio. Stava parlando con qualcuno di là dalla strada, ma una forza misteriosa lo spingeva ad entrare. 
E il vigile davanti alla scuola ruotava l'avambraccio nel classico gesto di far fluire il traffico, però non stava passando nessuna macchina, lui era guidato da una forza misteriosa che evidentemente ha molto a cuore la fluidità del traffico. 
Ma è inutile chiamarsi fuori, siamo tutti guidati da qualcosa di misterioso, e facciamo spesso cose assurde.
Io quando vado nelle città sono guidato sicuramente da un alieno che non aggiorna mai le mappe terrestri, perché mi perdo sempre.

Come quella volta con te.
Ci siamo perso dopo quella rotatoria. 
Non c'è niente come una rotatoria che possa far perdere l'orientamento all'amore.

Qualunque uscita tu prenda è sbagliata.
Funziona solo finché riesci a girare intorno







In questo giorno,
come ogni giorno:
aprire gli occhi,
ricordarsi di accendere luce sulle cose,
trovare un posto in cui sederti...
senza chiederti perchè,
senza guardarti da fuori...
restare un attimo indietro,
ed ostinarsi a non voler inseguire...
correre forte in avanti...
che non ti vedono,
che non ti trovano...
che sei in anticipo sull'ora legale,
e quella illegale della rivoluzione!...

Ricordarsi di chiudere il gas e dare un bacio a tutti.

Poi, con calma, nella notte
come ogni notte
ricordarsi di risorgere a nuova vita.

Buongiorno
just born now...















Ho imparato da piccolo a lanciare lontano i sassi, senza voler colpire niente. 
E quei sassi erano i miei pensieri. 
Alcuni finivano in qualche fosso, ai lati di una strada, come volessero rinunciare al viaggio.
Altri in mezzo ad un campo seminato a grano, destinati a crescere fino al raccolto.
I pensieri docili li lanciavo sul fiume, a pelo d'acqua... a volte rimbalzavano, e si moltiplicavano, fuori dal mio controllo. A me chiedevano solo forza.
I sassi dei pensieri brutti li scagliavo contro una parete dura... che si spezzassero, si sbriciolassero in polvere che se ne volasse via. Lontano da me.

Il giorno in cui ho incontrato te non ero più bambino da molto... e avevo disimparato a lanciare i sassi. 
Da grandi non si lanciano piú i sassi, e i pensieri si ingolfano in altri pensieri, ristagnano lì, e lì dentro spesso c'è poca aria.
I sassi sono levigati dal vento, e dall'acqua... prendono forme di vento e di mare, o fiume.

I pensieri, da grande, prendono la forma che la tua vita gli ha dato... forme complicate, a volte.

Poi sei arrivata tu, a levigare i miei pensieri... e tutti prendevano la tua forma, piú bella del mare e del vento, per me.
Io ti lanciavo i miei pensieri, ed avevo te, in cambio.
Fossi stato ancora bambino avrei capito come darmi a te, in cambio dei tuoi.
Invece ero rapito da quel mondo che regalavi ai miei pensieri. 
Stavo lì dentro tutto il tempo. Tutto il maledetto tempo che restava prima che tu ti accorgessi di non aver piú voglia di lanciare nulla.

Così non mi vedevi piú.
Io ero una cosa immobile e sospesa. Ero nebbia.

Amore è quando c'è vento forte, mare profondo, grano maturo da cogliere. Ma non nebbia.
I pensieri che lanci come sassi nella nebbia si perdono.

Amore è quando nulla va perso.











Poi ci fu quella volta in cui mi parlasti delle cose che fanno male.

Le parole sono come lame, dicevi, e possono ferire, se non sai come prenderle.
Io mi sentivo già tutto insanguinato, del mio sangue e del tuo.
La gente, dicevi, non si rende conto di quanto le cose che dice possano ferire....... manco io me ne rendevo conto, perché in quel momento ero distratto dalla tua bellezza, che mi arrivava a folate con i raggi di sole. 
Allora tu rimanesti ferita, dicesti che non ti stavo ascoltando, che era una cosa importante quella. Provai a spiegarti che ti stavo guardando, ti dicevo che sei bella quando pensi ed hai il cipiglio fiero di chi pensa.
Niente da fare. Eri ferita. 
Allora provai a dire che io di solito sto attento a non ferite nessuno, e che non penso mai alle mie parole come lame.
Niente da fare.
La gente, dicesti, se tu parli dovrebbe ascoltarti, e non pensare ad altro... 
- Io non pensavo ad altro, io pensavo a te!... 

- Non mi ascoltavi!...

- Invece ascoltavo, e ti guardavo...

- Non mi prendi sul serio!!!...

- Ma che dici!... non è colpa mia se la gente se la prende per nulla... le mie parole non sono lame!... io... ah, ho capito!... ti riferisci a quello che ti ho detto riguardo a quella storia della mia incapacità a riconoscere figure autoritarie... vabbè questo viene dalla mia vita... e non mi riferivo alla faccenda di te e tuo padre...

Tu lasciasti perdere.
Ma c'era sangue dappertutto.
Mi guardavo le mani: erano insanguinate.
I tuoi occhi, le tue pagliuzze dorate che cambiano colore con il sole, erano velati del tuo sangue giovane.
Mi sentivo in colpa... mi condannai a trent'anni di carcere, in isolamento.
Ma un tuo improvviso sorridermi commutò immediatamente la condanna in mezz'ora di arresti domiciliari con la condizionale, da riscattare immediatamente con la cauzione di un bacio.

Ci siamo baciati, tenendo basse le mani, senza parole e senza lame.

I baci sono lame che potano, per far crescere meglio, per sfrondare i grumi di sangue.








Usami questa premura
togli ogni virgola da ciò che dico
vorrei solo aria dal tuo foglio bianco
vorrei solo piccole macchie interrotte
vorrei tu sapessi come entrare
dentro la mia voce
vorrei tu mi mettessi in tasca
l'inchiostro della tua penna
smarrita tra le foglie
perchè,
usami questa premura,
serve che tu sappia 
ciò che non so dire


Tutti a dire che nevica... che non è normale una primavera così... che qualcosa dev'essersi rotto per sempre...
Mi ricordo tante nevi di marzo, e anche d'Aprile... come quella volta che è nato mio fratello, e i mia mamma l'ha dato alla luce nella sua stanza, in piena notte, con l'aiuto della mitica Ghina... che ci ha fatto nascere tutti.
Mi avevano esiliato qualche piano sotto, in casa di amici, e io, tanto per non smentirmi, ho fatto pure la pipì a letto. 

Pensavo mi avessero adottato per sempre, e speravo che lì non si facessero altri figli, sennò sarei dovuto andare ad annaffiare qualche altro letto.
Fuori nevicava, poi però è venuto il sole, e io sono fuggito fuori. 
Ma mi cercavano. Volevano che facessi conoscenza con quel pargolo biondino.
Quando lo vidi mi piacque subito... era simpatico, e decisi di tornare di buon grado a pisciare nel mio letto.
Non godevo più del centro dell'attenzione, e questo mi permetteva di sgaiattolare fuori più spesso.

E così iniziò la mia vita randagia, parlavo con il barbiere Gianni di mio fratello, e del fatto che quando è nato nevicasse anche se era il 31 aprile.
Lui era un noto barbiere-filosofo, e mi disse che la neve non porta mai la carestia, che sotto la neve c'è sempre il pane...

A me piaceva molto il pane, e lo davo anche a mio fratello.







Le forme più acute di nostalgia sono quelle in cui si rimpiangono cose mai vissute.
Nessuno potrà togliermi il ricordo di ciò che non è successo in quel giorno che avevamo tanto atteso... quel giorno in cui saremmo dovuti partire per una lunga vacanza di poche ore.
Avevamo deciso che saremmo andati sulla riva di quel piccolo lago che nella nostra memoria era grande come un oceano, e che i minuti sarebbero stati ore, e le piccole innocenti carezze sarebbero state tutta l'innocenza bambina delle nostre infanzie. 
Avevamo deciso di essere già stati lì, da bambini, insieme, e ci amavamo con timidi sorrisi, sfiorandoci a simulare che fosse per caso.
Avevamo deciso che sarebbe stata estate, una di quelle estati bambine, eterne e sospese a galla tra i canniggi ed i cerchi d'acqua delle libellule.
Avevamo deciso che poi all'improvviso saremmo stati adulti, senza la fatica di diventarlo.
Io avevo portato la chitarra, e sapevo suonarla senza la fatica di aver dovuto imparare a farlo per anni... tu mi guardavi senza tutta la fatica per imparare a leggermi.
Sapevamo evitare che i pensieri lievitassero per diventare idee.
Poi i nostri corpi si sarebbero incontrati senza che l'aria attorno opponesse resistenza, senza che sapessimo già tutto a memoria.
E tu non sapevi ancora come pettinarti i capelli... che ti cadevano sul viso giocando con le tue mani, loro volevano averne controllo... ma era una danza, di quelle senza passi studiati...

Non ci siamo andati, a quel lago. Non era possibile.
Le nostalgie più acute si nutrono di quelle isole di tempo che qualcosa o qualcuno non hanno reso possibili.
Tu avevi il corso di francese, ed io ero in ritardo rientrando da uno dei tanti dove.

Non siamo più voluti andarci, a quel lago.
Non volevamo andare lì e trovarlo diverso, o ritrovarci noi, diversi.

Ma quel lago è dentro di noi... ha un bel posto tra le cose che ci avvicinano.













Per conoscere bene una persona, ed il suo modo di vedere il mondo, basterebbe fargli ascoltare la scansione di un metronomo, alla stessa velocità, poi osservarla con attenzione.
C'è chi va in ansia e tende ad essere annoiata dal battito, vorrebbe fuggire avanti ad esplorare il futuro.
C'è chi si agita perché tutto corre via velocemente, insieme al suo passato che rimpiange, allora è infastidito da quel battito implacabile che non lo aspetta, e se ne va.
C'è invece chi si adagia esattamente sulla scansione, e se la fa piacere, perché ha letto da ogni parte che bisogna vivere nel presente, stare immobile e concentrarsi sul pensiero positivo, sorridere alla bolletta del gas ed alla decrescita felice.

Poi c'è mio cugino, che ha swing. 
Raccoglie le gambe come può, ma sta proteso di un attimo in avanti, in leggero e morbido anticipo sulla scansione... come si fa per camminare... tieni un po' del peso del tuo corpo a favore del passo successivo, e se ti fermi sono i tuoi pensieri ed i tuoi sensi ad andare avanti a continuare il passo.
Così la tua anima si infila comoda tra le virgole di silenzio tra un battito e l'altro.

Mio cugino dice che se ci riesci la vita suona diversa... non frani più sotto il peso del presente che... cazzo ma dove siamo andati a finire!?... non ristagni più nel restyling del tuo passato che... cazzo quante ne ho dovute ingoiare!!... non neghi il futuro che... cazzo ma dove andremo a finire di questo passo??... oppure non ti ci vai a rifugiare... che... cazzo, arriverà quel giorno!!...

Gli alieni viaggiano nello spazio sconfinato, quindi nel tempo... così sembrano aver risolto il problema, ma parcheggiano sempre a mezz'aria, perché... non si sa mai!...

Bach, Mozart, Dostojevsky, Ellington, Trane, Borges... 
questi qua riescono a dare l'illusione di quel grammo avanti sul loro presente...

quindi senza mai farsi sorprendere dall'eternità imminente.

Buongiorno my friends...
really don't know what I meant, but I had a good... time




Quando ti incontrerò andremo in quell'osteria, ci sarà posto nel patio, all'ombra del platano albino, e tutto sarà estate. 
Vedi mia cara, c'è sempre posto lì, perché quello è uno strano albero nudo, e non ha niente di ciò che la gente chiede agli alberi... niente verde luminoso e niente rughe brune di corteccia.

Ma io ti ci voglio portare, lì.
Perchè fanno una buona cucina di poche cose, sempre le stesse, perché tu possa imparare quei sapori e non dar loro più alcun significato che non sia quello che già hanno.

Ti ci voglio portare perché tu perda quel maledetto vizio di decidere.
Andremo lì per caso, quando saremo in giro da quelle parti, e se saremo in anticipo, o in ritardo, non se ne farà nulla, non ci fermeremo.
L'ultima volta che siamo capitati lì per caso eravamo ancora giovani, e il platano albino quasi non s'era accorto di noi. Quando sei giovane la gente si accorge di te solo perché hai una luce inquieta negli occhi, ma gli alberi non sono gente. 
Tutto quel chiarore discreto aveva fatto da sfondo a quelle nostre ore... un'ombra timida, quasi una carezza ad abbassare le luci sul nostro cercarci con le parole.
Quando saremo giovani ancora torneremo lì per caso, e non sarà un tornare, sarà solo un posto come tanti, uno di quei posti da cui la vita passa per caso, per ragioni sconosciute... per una combinazione vincente nel lancio dei dadi.




Certe cose che scrive Paul Auster è come fossero su un piano inclinato, prendono velocità pian piano e si affidano al vento per frenare.
Trovo meravigliose cose simili. La dinamica sei linguaggi mi ha sempre affascinato... gente come Dexter Gordon suonava in salita, senza mai dare l'idea di fatica. Bird non toccava mai terra... e In Bach c'era il moto perpetuo.

Io, in tutta modestia, devo dire che l'andare in discesa, contando sul vento per frenare, l'avevo già sperimentato da piccolo.
La mia bicicletta aveva dei freni che funzionavano sfidando le leggi della logica, la quale, quando ti serve, viene meno ai suoi principi, mentre quando speri in una sua clemenza è implacabile.
Infatti un giorno mi ero pigramente avviato in una discesa piuttosto tenue, una specie di piano inclinato... non pedalavo, ed era bello prendere velocità a poco a poco, appena trattenuto dal vento che mi massaggiava la fronte.
Ad un certo punto, per misteriose ragioni, ebbi la sensazione di volare, e decisi di modulare la velocità con un colpetto di freni... ma tutto il blocco della pinza saltò in braccio al vento. 
Provai a frenare un po' con i piedi, ma avevo i sandali, ed era un casino.
Il vento mi era sempre stato amico, e lo pregai di darmi una mano, ma lui forse era impegnato a spingere le barche a vela, oppure doveva asciugare i panni stesi di mia mamma... 
sempre così nella vita... i freni devi averceli tu, quando servono.

Ho una bella cicatrice al centro della fronte, a testimoniare che sono un antesignano del piano inclinato senza freni e in braccio al vento.

Mio cugino dice che gli alieni vengono giù senza freni perché capiscono il vento... sin da piccoli gli fanno studiare ogni tipo di vento su ogni tipo di pianeta. Se vogliono sanno evitarli tutti e non spettinarsi mai. 
Finiscono per odiarlo, il vento, ma poi, chissà perché, s'incazzano quando non c'è.
Allora vanno in giro per il cosmo a cercarlo.

buongiorno
gone with the wind... and test your brakes



La primavera arriva sempre in un coro di attesa. Non ce n'è una che puoi ricordare esattamente com'era... ma tutte si sono fatte attendere.

Tanto tempo fa, ad un concerto, una ragazza mi disse che quell'anno la primavera sarebbe arrivata in anticipo, in un mattino, all'improvviso, di colpo, preceduta da una notte di nebbia... ci avrebbe sorpresi, e non ancora pronti, come un immenso fastidio di fiori inopportuni ed invadenti, come le onde dell'oceano, a farci spremere gli occhi per la troppa luce, come la rivoluzione che doveva arrivare, come questa nuova musica che non ti aspetta, va avanti con furia ad allagarti l'anima e non chiede il permesso per entrare.
Disse che quella primavera sarebbe stata ricordata per sempre.

Poi all'improvviso pianse... piangeva un suo dolore, piangeva forse una primavera mai arrivata... piangeva qualcosa che era dentro di lei, imprigionato, incatenato ai fondali del suo mare profondo.
Era il suo modo di accarezzare la cicatrice di un'antica ferita lasciata laggiù in un inverno buio che si era costruita dentro, come una gabbia.
Non ricordo cosa le dissi, ricordo però cosa avrei voluto dirle... volevo dirle di aprire quella gabbia, perché la sua primavera inattesa sarebbe arrivata domattina, e non avrebbe potuto cancellarle quel dolore, ma il suo disordine di fiori sarebbe arrivato anche laggiù, sulle rive secche di quella cicatrice.
Perché ognuno di noi è un prato di fiori, prima o dopo che sia... se solo perdessimo quel maledetto vizio di volerli disporre secondo le nostre geometrie.
Costruiamo così tante cose ordinate, perché l'ordine serve a placare la madre di tutte le ansie. 
Ma l'ordine diventa importante soprattutto quando impariamo a non aver paura del disordine sublime delle primavere.

Io ricordo mia nonna, nel suo giardino.
Imponeva la sua timida geometria alle piantine, perché mio padre voleva che ogni cosa fosse assolutamente al suo posto. 
Ma ad ogni primavera i fiori esplodevano ovunque, attorno a quei filari sbilenchi. 
Ricordo il disappunto di mio padre, ma soprattutto ricordo lei, piccola com'era, in mezzo a quel chiasso di colori, a sorridere alle sue cicatrici ormai dure come roccia lavica. 
La ricordo a sussurrare qualcosa come una preghiera, ringraziando per il miracolo che il suo dio le faceva dimenticandosi fiori ovunque, anche nei suoi vulcani spenti.

Vogliamo giardini ordinati, e togliamo la gramigna, dimenticandoci che per i fiori spesso la gramigna siamo noi.

Vabbè questo è esagerato, lo so... ma mi piace come suona.

Buongiorno
Your thoughts sound just like flowers... set them free







Mio cugino, quando era il più illustre concertista di dedalo frigio (era l'unico a suonarlo), una volta venne intervistato ad Amsterdam. Le cose che ti chiedono sotto il livello del mare sono insidiose, ma la giornalista si limitò ad una inevitabile e risaputa domanda:

Cosa c'è dietro le cose immaginifiche che fa con quel suo ineffabile instrumento?
- Dietro?...
- Sì... cosa c'è dietro?
-... un attimo che guardo...

La giornalista lo guardò un po' così. 
Ma lui continuò:

- Dietro non c'è niente. Invece davanti ci sono un sacco di cose... tutto quello che suono viene da davanti...
- Ah, capisco... quindi lei è ispirato da ciò che vede... non si direbbe, visto che quando suona tiene sempre gli occhi chiusi...
- Io intendevo dire che guardo a ciò che deve ancora venire... la musica si muove nel tempo, e a me interessa quello che c'è davanti.
- Capisco.... ma allora qual è il suo rapporto con la memoria?...
- La memoria è già dentro quello che siamo fin qui... è nelle nostre mani, ed anche nello strumento, ma a me piace dimenticarla e guardare avanti...
- Certo. E' molto chiaro... però tempo fa ho letto di un suo seminario sul rapporto tra musica e memoria, che si sarebbe dovuto tenere a Roma, ma poi lei non s'è fatto vivo... era una provocazione?...
- No. E' che mi sono dimenticato di andarci.

buongiorno
Spring is here right now. Forget those fuckin' foggy days



La prima cosa del mattino può essere un timido chiarore oppure un abbaglio che ti fa strizzare gli occhi... 
la prima cosa del mattino può essere una parola, una carezza, una virgola di gioia improvvisa al pensiero di qualcosa che ti aspetta... oppure il boato soffocato di un timore, di una paura che ti ha camminato dentro anche nei sogni... 
la prima cosa del mattino può essere tutto questo ed altro ancora...

Io voglio che sia il silenzio di una parola che ti dici, dentro...una parola magica... una password di zero lettere che in realtà non è che la parola zero di tutte quelle che dirai e ti dirai, che scriverai o non scriverai... che ricorderai o dimenticherai... la prima del giorno a venire e l'ultima della notte andata...





Un tipo mi ha appena detto un sacco di cose, e sembra davvero avere una soluzione per tutto. Proprio per tutto.

Dev'essere uno che da piccolo faceva i rebus sulla settimana enigmistica poi andava subito a vedere la soluzione nelle ultime pagine per constare che ci azzeccava sempre.
Io invece non vado mai a vedere le soluzioni, guardo i disegnini e immagino tutte le storie possibili... preferisco crogiolarmi nell'errore, e vorrei dare vita ad un movimento di liberazione dalle soluzioni chiuse... le iscrizioni sono aperte, ma se poi si iscrive questo tipo qui so già che troverà tutte le soluzioni per la nostra causa e rovinerà tutto.

buongiorno
could it be that way?



Bisogna avvicinarsi, molto.
Guardare da vicino, anche se ti bruciano gli occhi.
Poi, per vedere bene, allontanarsi per avere la visione... come in una fotografia.
Come in una musica.
L'architettura è nello sguardo, anche se quello che vedi è solo buio.




Allora suonai quella nota
come fossero tutte le altre insieme
ma nulla si mosse
tutto era fermo
aria immobile

poi tu
il tuo timido vento
e altra musica

e altra ancora





Tutte le domande che facciamo a noi stessi ad agli altri alla fine non sono che un'unica domanda, e tutto ciò che siamo ha a che fare con la risposta a quella domanda... che per fortuna non arriverà mai.
Chi ti ama lo riconosci, perché ti guarda come se tu fossi la sua risposta.
Ti accorgi di essere vecchio da due cose: la prima è che sembri tuo zio in quella foto al mare... la seconda è che ci metti un attimo a trovare le chiavi di casa nei meandri infiniti delle tue tasche.



C'è sempre qualcosa che rimane indietro, da aspettare... o da lasciare che si smarrisca a vita propria. Qualcosa che poi ti ritorna negli occhi chiusi del sogno, o nelle pieghe invisibili del tuo giorno.
Così non sai più se quelle cose le hai vissute, o erano appunti presi per una storia da scrivere, per una danza che avresti voluto saper danzare, o per una vita nuova, a venire... prima o poi.

Così io mi ricordo di te, e ti vedo a fare cose che forse non hai mai fatto, e forse io volevo tu facessi.
Mi ricordo di averti visto ballare e sorridere su quei miei pochi accordi, per aiutarmi a farli diventare musica. 
Musica bambina, di quelle che scivolano graffiando via il tempo senza ferirlo, senza farlo sanguinare.
Così io mi ricordo di quella musica bambina, fatta di temi senza peso, capaci di cambiare direzione ogni giorno. Tutto ciò che c'era era l'idea di un ritmo, capace di sostenere i colori e le armonie dei nostri giorni a venire.
Forse questo è quello che chiamiamo musica.


Un cane, piccolo, molto piccolo rispetto al mondo, attraversa la strada.
Qualcosa, e non sa cosa, gli dice che deve andare di là.
La sua razza è incerta, molte, molte razze assieme, lui è l'onda lunga di un sangue di molti umori ed amori mescolati insieme... la sua razza non è una razza, e il suo collare è solo una ruga scura di pelo. 
Tutto in lui è incerto, eppure si muove nel mondo gettandosi i giorni alle spalle.
E adesso attraversa quella strada. Ai cani capita di decidere, in un attimo, che il mondo è di là, e ci vanno. 
Anche agli umani capita a volte, in un niente, di capire che il mondo è di là. Ma pochi ci vanno.
Eppure quella strada è piena di macchine... tutto un andare, in ogni direzioni... al cane capita di credere che gli umani disegnano i loro pensieri in modo diverso, e seguono strade grandi e nere, si ostinano sempre ad andare dove la mappa della loro vita dice di andare.
Per lui, piccolo cane, nato per caso e per un ostinato istinto di conservazione della specie, le mappe sono disegnate dall'olfatto. 
C'è sempre un odore da seguire, che ti invade fino alle ossa, che ti racconta il mondo ogni volta diverso.
E quell'odore lo devi seguire.

Ma sei un piccolo cane, e il tuo cervello non può calcolare la corsia di sorpasso, le moto che un lampo prima non c'erano, i camion, che ti fanno il cielo buio e ti sembra che sia venuta notte, con quel fumo denso che devi abbaiarlo tutto fuori per non impazzire.

Devi andare di là, e ci vai.
Stai per buttarti, senti forte l'odore misterioso che ti attira di là, e ti butti.

Ma un tipo in bicicletta frena, e con un calcio ti butta indietro, sul marciapiede.
Sei profondamente offeso da quel gesto. Hai preso chissà quanti calci da quando sei al mondo. Non ti hanno mai fatto male, ma dentro eri offeso. Molto offeso.

Dal marciapiede vedi che il tipo in bicicletta s'è fermato, e viene verso di te, allora abbai forte e fitto... ti fermi a rifiatare e pensi a quanto sono brutti gli umani quando ti guardano abbaiare, sono invidiosi della tua voce, la loro non dice cose chiare, non hai mai capito cosa dicono, ma i loro occhi sono potenti... devi difenderti, o abbassare lo sguardo.
Loro non hanno la coda, non hanno un timone delle emozioni come il tuo, che dice chiaro come ti senti.
Ma hanno quegli occhi, e quelle mani, quelle bocche che si muovono rapide e non vedi mai la lingua.

Il tipo della bici, ora ce l'hai davanti, sei stretto in un angolo e non hai più fiato.

Lui si abbassa, e ti prende il collare, te lo cerca sotto il pelo e te lo toglie... dentro c'è un nome, scritto col pennarello e cancellato. A fianco del nome cancellato c'è scritto "Vaffanculo"... 

Senza collare ti senti nudo, non hai più un nome, quel nome lì, l'ultimo che t'hanno dato, ti piaceva. 
Sì, Vaffanculo ti piaceva molto, ma quello che te l'aveva scritto sul collare un giorno ti ha mollato in una discarica.

Il tipo della bici ti accarezza sotto il mento e ti tiene in braccio.
Tutto questo è contrario alle tue regole... mai farsi staccare le zampe da terra... ma ti piace.
Quel tipo ha un odore quasi di nulla, forse è nato ieri, o viene da un sogno.

Ti mette nel cestino della bici, senza collare.
Tu puoi rilassarti, ci pensa lui a schivare le macchine.
Questo è contrario alle tue regole. Mai affidarti a qualcuno per andare nel mondo.

Ma stai lì, nel cestino, assaggi il vento con la lingua.
Potresti anche dormire.
E' contrario alle tue regole. 
Mai dormire affidandosi a qualcuno, e fidandosi di come lui si fida del mondo.

Allora lo aiuti a guidare con il timone della tua coda, e andate di là.

Adesso sai perché volevi andare di là.









Come sempre, è ora

come ora, è sempre

ora è come sempre

come è ora, sempre

come è sempre, ora




Tema

La chitarra elettrica


Se facevo il bravo, da piccolo, mi avevano promesso una chitarra elettrica. 
Questo me l'hanno detto in un momento di festa, appena prima che smettessi di fare il bravo bambino. 
Mia sorella aveva un moroso che suonava il basso. Mio babbo non sapeva a cosa serviva il basso. O forse sì, ma non gli piaceva per niente. E di sicuro il basso non gli piaceva suonato da quello lì, che invece a me mi piaceva molto, e non lo so perché. 

La chitarra elettrica nella mia infanzia la suonavano Santo & Johnny, uno dei due, non mi ricordo chi, aveva una chitarra stesa che stava in piedi su quattro gambe... secondo me quella chitarra era molto elettrica, e faceva delle note come la voce. Poi la chitarra elettrica la suonava Van Wood, che era olandese e rideva sempre molto. Mio zio diceva che lui era il più bravo del mondo, ma voleva fare il presentatore alla nostra tivù.

Alla mia mamma gli piaceva molto la chitarra elettrica che c'era nel telefilm di Bonanza, la mettevano sempre quando i cow boy andavano forte a cavallo con tutto quel polverone che agli indiani non gli faceva niente e invece a loro sì, e per questo si tiravano su i fazzoletti nella faccia.

La mia mamma quando sentiva uno che suonava la chitarra con la maniglia del vibrato gli piaceva molto, e mi diceva che quello lì la faceva parlare, la chitarra.
Volevo che mi regalassero una chitarra elettrica parlante, con la maniglia del vibrato... anche se io non ci credevo che la chitarra poteva parlare. 
Però ho cambiato idea quando nel cinema dal prete a Serravalle dei ragazzi grandi avevano messo su un film dove c'era un sacco di gente, e qualcuno anche nudo, che stava a sentire uno che suonava una chitarra elettricissima, tutta bianca e con la maniglia del vibrato che penzolava giù, quando lui non la teneva. 
Quello lì a un certo punto ha spinto un pedale elettrico, e la chitarra urlava e delle volte sembrava che piangesse, ma non era vero che piangeva, o forse sì, non lo so. 
Lui era molto spettinato, e a me mi piacevano quelli spettinati... poi c'aveva anche un cappello con la penna da indiano, ma non lo so se era indiano. 
A un certo punto nel film i poliziotti trascinavano via degli spettinati nudi, e lui da lassù ha spinto il pedale avanti e indietro, e ai poliziotti gli ha urlato facchiùùù... ma con la chitarra, però. 
Così non era peccato, e non era neanche una parolaccia... però forse in americano sì.

Il barbiere Gianni, quello che aveva il negozio nella piazza, diceva che prima di suonare la chitarra elettrica devi imparare con quella normale. Lui sapeva sempre tutto, ma non l'ho mai visto suonare niente.

Un giorno con mia sorella sono andato all'Arlecchino, dove i più grandi ballavano, anche nel buio, e i maschi gli volevano dare i baci alle femmine, che non volevano, ma alcune sì. 

A suonare c'er UnKa MunKa, lui faceva parlare l'organo, ma prendeva un sacco di spazio. E se me lo regalavano, l'organo, nella mia casa non ci stava. 
Di fianco a lui c'era uno che suonava una chitarra elettrica nera, senza maniglia, mi sembra. 
Però aveva molti pedali, e diceva facchiù di continuo a tutti. Mi sembrava che me lo dicesse anche a me che non ero un poliziotto e non gli avevo fatto niente.
Però comunque mi piaceva molto come suonava, e secondo me gli piaceva molto anche a mia mamma, se lo sentiva.
Il vigile della piazza era un mio amico, e mi dispiaceva quando diceva che all'Arlecchino facevano troppo scaramazzo, quei drogati.

Quella volta che mi ha seguestrato il pallone non era più mio amico, il vigile. 
E se mi avrebbero regalato una chitarra elettrica con la maniglia e i pedali gli avrei anche detto facchiù!!!... o forse no, dai.

Quando ero grande quasi come adesso, nel futuro, alla mia mamma, che purtroppo è ritornata bambina, ma una bambina vecchia che non capisce più il tempo, gli ho fatto sentire per sbaglio nella mia macchina Bill Frisell che fa dei suoni strani quasi che parlano... la mia mamma ha detto che lui la chitarra la fa parlare... senti come la fa parlare, quella chitarra!!... prima ho riso un po', poi ho pianto un pochino anche se ero grande quasi come adesso, in quel futuro di pochi anni fa.

Grazie Bill Frisell, che parli alla mia mamma!

Quando ti incontro te lo dico.











Il cielo insiste nel suo manto di nuvole, e se la notte ha portato a riva cose che non sono più allora devo raccoglierle e guardarle ancora una volta.
In molti ti dicono che è meglio non vederle, ed aspettare che tornino ad essere ingoiate dal mare.
Ma io voglio guardare. 
Voglio vedere... vedere sempre.
Il coraggio degli occhi, e delle orecchie... sempre.
C'è una conchiglia dorata, è mia madre.
Il mare ha deformato e mutilato la sua luce... le onde, con la loro cadenza urgente e distratta, hanno violato il vivo dei suoi colori. 
Il vento che anima gli oceani ha tradotto in un'altra lingua il suo pensiero, le parole, sbalzate in aria, vanno in frantumi e i detriti le si posano in gola. 
Tutte le virgole sono fuggite via, e i suoi occhi le cercano con angoscia.
Ho sempre parlato con lei attraverso la musica, perché è da lei che mi viene la musica, e vorrei che a lei tornasse... perché nella musica si possono usare moncherini di parole, alluvioni di silenzio e virgole fuggite.
Ho scritto un brano per lei, stanotte, e suonarlo mi fa star meglio.
Spero riuscirà a parlare la sua lingua senza regole.
Lo chiamerò "Le virgole fuggite".








FA_ diesis

Una volta un mio allievo di chitarra arrivò con una di quelle belle certezze definitive.
Mi disse di aver deciso che la sua tonalità preferita era Fa diesis.
Gli chiesi se era per via della sinfonia n° 10 di Mahler in F#maggiore... lui disse di no, disse che gli suonava bene e basta.
Poi mi chiese se avevo qualcosa da obiettare. Risposi di no... io non obietto quasi mai su niente, è uno dei miei vizi preferiti, insieme a d altri ben noti.
Però gli feci trasportare in Fa diesis tutti i brani che conosceva.
Era entusiasta dell'idea, e si mise al lavoro.
Dopo un po' di tempo venne e mi disse che non ne poteva più del Fa diesis... "non è possibile!... Mi piaceva tanto e adesso non la sopporto più..."
Andò avanti per un po' così, e devo essermi perso qualcosa nel suo discorso, perché ad un certo punto capii che stava parlando della sua ragazza, era lei che non sopportava più, poverina.
Qualcosa nella sala macchine del suo cervello era andato fuori fase, la sua ragazza adesso la vedeva in Fa diesis, con tutti quei diesis in chiave, e tutto s'era complicato di brutto.
Mi disse che la vita è strana.
Mi chiese cosa ne pensassi.
Risposi che non mi ero mai posto il problema... 

Però la relazione con la sua ragazza sembrava andare avanti, anzi, volevano sposarsi... (!?)... gli dissi che avevano la mia benedizione.

Seppi che avevano fatto molti viaggi, in tonalità diverse, e alla fine avevano anche trovato una casetta accogliente, calda e comoda... in Do maggiore, e li progettavano di viverci per sempre.

Mi chiese dove abitassi, e in che tonalità fosse la mia casa...
Gli risposi che abitavo a Borgo Maggiore, fuori dal sistema tonale.

Ora hanno due bei gemelli, tutti e due in La bemolle. 
Stanno cercando una casa due toni più in basso.



Da piccolo guardavo mia nonna sporgersi e protendersi oltre l'impossibile per arrivare a quei lunghi fili tesi per stendere i panni ad asciugare. 
Ammiravo la sua perizia... lei, così minuta e alta poco più di un niente, che armeggiava con le mollette facendo vibrare quei fili tesi al sole. Sentivo quei suoni fare da sfondo alle canzoni che cantava, e a cui inesorabilmente adattava parole sue, che cambiavano insieme al suo umore... vizio di famiglia.
Le mie magliette, stese al sole da lei, sembravano più belle... e forse io, sentendo quelle corde vibrare, ho contratto il vizio che ho, ormai incallito, di pizzicare qualunque cosa somigli ad una chitarra... inoltre avevo la sensazione che fosse lei a governare il vento, invece la sua era solo antica pazienza.... mia nonna era senza dubbio la più grande folksinger che conoscessi, allora... poi, col tempo, devo ammettere che l'ho tradita con Joni Mitchell...

Scrivere è come stendere panni al sole... prendi le parole e le disponi con cura sul filo dei pensieri di chi legge... non sei tu a governare il vento, ma ti piace avere l'illusione di esserlo.

Buongiorno
fold your dreams on a wire










Ricordo come fosse ieri quando mio cugino è stato espulso dal catechismo. 
Si stava parlando di come le nostre azioni siano guidate dall'alto, e lui alzo la mano e disse che era vero... disse che gli alieni hanno sofisticatissimi telecomandi, e se beccano la tua frequenza ti fanno fare quello che vogliono.

Potrebbe essere vero, perché vedo continuamente gente che fa le cose come fosse guidata a distanza da un remote control. 
Un tipo stamattina è entrato di spalle al bar, spingendo la porta con la schiena, come avesse in mano qualcosa di pesante. Invece no. Non aveva niente in braccio. Stava parlando con qualcuno di là dalla strada, ma una forza misteriosa lo spingeva ad entrare. 
E il vigile davanti alla scuola ruotava l'avambraccio nel classico gesto di far fluire il traffico, però non stava passando nessuna macchina, lui era guidato da una forza misteriosa che evidentemente ha molto a cuore la fluidità del traffico. 
Ma è inutile chiamarsi fuori, siamo tutti guidati da qualcosa di misterioso, e facciamo spesso cose assurde.
Io quando vado nelle città sono guidato sicuramente da un alieno che non aggiorna mai le mappe terrestri, perché mi perdo sempre.

Come quella volta con te.
Ci siamo perso dopo quella rotatoria. 
Non c'è niente come una rotatoria che possa far perdere l'orientamento all'amore.

Qualunque uscita tu prenda è sbagliata.
Funziona solo finché riesci a girare intorno







Il mondo è pieno di persone che non hanno mai scritto una riga, ma hanno pensato molto, e molto oltre i pensieri più docili...
Da piccolo parlavo sempre con il vigile della piazza... ho sempre pensato che fosse lui a dare un senso a tutto quell'andirivieni, e quando non capivo qualcosa chiedevo a lui, che si toglieva per un attimo il casco coloniale, si asciugava la fronte, e mi rispondeva.
Una volta gli chiesi perché si metteva in mezzo alla superstrada e bloccava il traffico, fischiando e gesticolando, per far passare due anziani, Binela e Burdòun, mentre a me non mi faceva mai passare...
lui rispose che loro erano contadini, e non capivano il traffico, e invece io dovevo aspettare, guardare e imparare...
io allora pensavo che sarebbe stato bello essere anziano e contadino, come Binela, che mi cavava i denti da latte con le sue mani di legno nodoso, e poter passare di là per andare a giocare con i miei amici...
però sapevo anche che gli anziani avevano diritto di passare, perché in casa mia mia nonna passava sempre, e noi dovevamo spostarci...
però poi il vigile Luigi mi lasciava entrare con la bicicletta nella guardiola dove andava a cambiarsi a fine turno... io stavo lì, sulla bici, e lui mi spiegava il senso delle cose della vita... mi diceva che la prima cosa che si deve imparare nella vita è tenere gli occhi ben aperti, la seconda è saper aspettare, e la terza la capisci quando sei più grande... 
poi, quando, vestito da uomo normale ma con il segno del casco sui capelli, attraversava per andare nel bar a bersi un goccetto, mi portava con lui... senza bicicletta, però... quando era lì dentro rideva in dialetto con gli altri del bar, che però non avevano il segno del casco nei capelli...
a volte mi comprava un ghiacciolo, spesso mi diceva di non toccare niente se non c'avevo i soldi...
quando mi faceva riattraversare fermava le macchine anche senza divisa... e lì ho capito che alcuni possono fermare le macchine anche senza divisa, basta crederci...

buongiorno
cross roads of the world



Mia nonna mi diceva sempre... guarda in alto, e tutti crederanno che sai dove vai...
cara vecchia Ombrina, ho dato tutte le interpretazioni possibili a questa cosa che mi dicevi, ma tu forse volevi solo dirmi che è importante, nella vita, avere una direzione in cui andare, ed è importante che gli altri lo sappiano. Tu non guardavi alto, eri piccola, e i tuoi orizzonti erano la punta delle tue ciabatte, ma la tua tenacia nell'affrontare la traversata della sala da pranzo per non andare da nessuna parte mi ha insegnato molto.
Tutti dicevano: "Spostati, che la nonna deve passare..." e io mi spostavo.
Avevi un passo lento, ma nessuno si sognava di ostacolarlo... quando ero molto piccolo provavo a seguirti, ma inciampavo nelle cose, inciampavo anche senza inciampare, era difficile dosare il passo... era difficile capire che il segreto del viaggio sta nel sapere che è dentro ogni passo...
poi un giorno sei andata in alto, molto in alto... hanno provato a farmi credere che era lì che volevi andare... ma non ci ho mai creduto. 
Nella vita non c'è una direzione, ci sono passi da fare, persone da incontrare, cose da vedere... ad ogni passo. E' l'inesauribile meraviglia del mondo.
Ce ne vorrebbe di più, qui, di gente come te, che cammina senza volerci guadagnare su qualcosa, che cammina con quelle ciabatte speciali che non lo so chi te le ha date... che cammina non importa dove... che cammina con la fragile inviolabile eleganza di chi ha imparato dal proprio passo...