martedì 11 dicembre 2012

Io, che mi guardo i piedi


le ore, a non passare mai, un camminare piano di lancette a rincorrersi e mai trovarsi.
Il tempo, a sgretolarsi lentamente, frantumarsi in manciate di farina, ogni grano un istante di vita andata... persa via dall'andirivieni di gente infreddolita alla stazione.

Io, che ti guardo dormire sulla mia spalla... 

tu, che non trovi la posizione, come non l'hai mai trovata, comoda, dentro la mia vita.

Io, che ti sposto i capelli dagli occhi, che ti rimbocco la sciarpa sul viso...

tu, che parli piano il mio nome in un mantra distratto, come a cercarlo... come a cercarmi...

Io, che mi lascio sfuggire una nenia, poche note, orfane di parole, della nostra canzone, un tempo...

tu, che per la farina di un istante riapri gli occhi a cercarmi com'ero, un tempo...

Il treno...
che arriva come fuggito da un'altra città, e si guarda indietro, a dimenticarla...

tu, che sali, e ti porti via il mio nome, a dimenticarlo nella nebbia...

io, che resto giù, con l'impronta calda del tuo viso sulla mia spalla, a guardarmi intorno...

un ragazzo, con lo zaino pieno di ore e di lancette, corre verso me, e passa oltre... è il figlio che tu un tempo desideravi, e che mai ho voluto darti...

Io, che mi guardo i piedi...

tu, che stampi la mano sul finestrino

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