domenica 13 novembre 2011

geometria liberata


Lasciare che le cose "siano" significa liberarle del peso di ciò che sono, della loro identità costretta ad avere un accesso univoco, una semantica obbligata.
Uno dei giochi più belli che facevo da bambino era quello di dare un altro senso alle cose, farle uscire loro malgrado dalle loro sembianze ovvie; è un gioco che fanno tutti i bambini, ma lo fanno di più quelli un po' strani... e un po' soli.

Non ho mai visto niente di più vicino alla solitudine di quanto non lo siano le figure geometriche piane; delimitano uno spazio che dentro ha la solitudine della bidimensionalitàe fuori l'infinita solitudine dell'universo. E' un pò come stare in una di quelle case sull'isola di Filicudi che hanno per tetto una linea appena accennata ma netta, giusto per evitare che dentro sia già cielo e fuori ancora casa.
La geometria mi ha sempre affascinato per la sua logica a cavallo tra il laconico e il malinconico, così perfetta e finita da farti pensare che lì sopra non passino cieli arsi o diluvii, o nebbie, o bufere di neve... ma che ci ristagni un sole timido e sbiancato come quello delle estati berlinesi.
Sono fatto così, io... non riesco a guardare uno sfondo bianco come un'assenza, lo vedo come una infinita promessa di presenze.
E così è la solitutudine. Non un'assenza di mondi e di facce, ma un foglio bianco da sporcare come vuoi sapendo che non smetterà mai di essere bianco.

Sul bianco puoi disegnare un triangolo, ma per farlo nel modo più netto ti serve il nero, che è il colore del buio... ha pari dignità del bianco, perchè anche il buio non è assenza, ma presenza delle infinite cose che nasconde.
Qualunque altro colore che potresti usare sarebbe invadente, perchè farebbe entrare in gioco una tavolozza emotiva che niente ha a che fare con l'algida indifferenza dellageometria. 
Sin da quando il primo triangolo è comparso sul foglio bianco dell'universo è stato subito chiaro che quei tre segmenti che lo delineavano lottavano contro l'ineluttabile solitudine dell'essere saldati assieme senza potersi muovere e giocare tra loro; l'impegno da loro preso di delimitare uno spazio in eterno li condannava ad una fissità implacabile... il rimanere immobile per sempre è impresa ardua anche per chi non è un organismo vivente. Ricordo che ai tempi del servizio militare, quando ero di guardia e dovevo rimanere immobile per due ore, invidiavo il mio fucile Garrand che sembrava non far nessuna fatica a star fermo e mantenere una postura marziale.

I lati dei triangoli isosceli, fosse anche solo per il loro nome un po' esotico, invidiavano l'altezza, che non era un lato, ma un'intrusa che si vantava della sua importanza strutturale ed aveva un nome regale, la chiamavano ironicamente: sua altezza l'altezza... come non bastasse lei sfoggiava sempre quel tratteggio che le dava un aspetto vivace e meno versato all'immobilismo, a guardarla un po' di sfuggita poteva quasi sembrare viva perchè iltratteggio inganna lo sguardo insistito animandosi pur rimanendo immobile.
Non passò molto tempo perchè la base, il lato che dei tre aveva subito mostrato di più la propensione ad avere i piedi ben piantati per terra, desiderasse di sistemarsi in pianta stabile. I due lati obbliqui avrebbero entrambi apprezzato il fatto di essere chiesti in moglie, ma la scelta cadde sull'affascinante altezza, forse per via del suo sensualissimotratteggio. lati obbliqui dovettero così assistere al lungo corteggiamento ostentando ripetutamente smorfie di disgusto e commenti ironici, nonchè ai primi goffi approcci sessuali, che però andarono presto a buon fine, dal momento che la coppia si ritrovò in dolce attesa.
La creatura nel grembo del triangolo cresceva a dismisura, troppo per quello spazio così angusto, ci sarebbe voluto il doppio di quello spazio per ospitarla... una volta nata fu presa la decisione (con cinico, geometrico rigore) di dividerla a metà ed estrarre a sorte quale delle due sarebbe stata gettata fuori dal triangolo nello spazio siderale del foglio bianco.
Alla fortunata rimasta fu imposto il nome di Area.
Cresccendo dimostrò presto l'insana passione per una precisa quantificazione numerica dello spazio interno della sua casa, cioè il triangolo.
Poi sua altezza "l'altezza" cominciò a mostrare i segni evidenti della degenerazione di alcuni tratti del suo carattere. Voleva esercitare sempre più il controllo su tutto, si faceva chiamare bisettrice... divideva la povera area in due parti uguali ed ordinava ai lati obbliquidi occuparsi ciascuno di una di esse... per sottrarsi ai suoi doveri coniugali si rifugiava in uno dei due angoli uguali in cui aveva diviso il suo, sempre in quello opposto in cui la cercava labase.
Ma erano solo momenti, in realtà l'unione era solida, e regge ancora.

Nel triangolo rettangolo, invece, l'angolo retto non bastava a conferire rettitudine ai comportamenti dei tre lati; già due di loro si contendevano il nome di base e quello di altezza, in più entrambi avevano perso la testa per l'ipotenusa, il lato opposto all'angolo retto, il cui nome già testimoniava a favore di una certa indulgenza a facili costumi. ArrivòPitagora a cercare di sedare i tafferugli interni al triangolo, tentando di riportare all'ordine gli equilibri interni costruendo quadrati addosso ai tre lati, cambiando nome ai due che formano l'angolo retto e chiamandoli cateti, appellativo piuttosto virile e gratificante, affidando alla calma lucida dei numeri il compito di placare le ansie di quantificazione che spesso sono alla base delle dispute tra chi è costretto a convivere in spazi delimitati.
Già che c'era s'accorse che con questo suo teorema nessuno dei tre lati, rimasto in incognito da solo, poteva più nascondere i suoi connotati.
Il teorema di Pitagora ancora regge... questo Teo, imperterrito, rema da millenni inesausto.

Il triangolo equilatero mostra evidenti segni di stanchezza, la sua simmetria lo condanna ad una noia mortale, i suoi equilibri interni, votati ai nobili valori dell'eguaglianza e della parità di diritti, lo indicano come esempio agli altri triangoli... ma lui è stanco di rappresentare un mito. Vede che i suoi esempi non hanno come conseguenza un tentativo da parte degli altri triangoli di tendere anch'essi alla simmetria come valore universale. E' demotivato e tende alla depressione, a guardarlo bene è ormai l'ombra di se stesso, non c'è più traccia di quella fierezza che ostentava quando dava dimostrazione di come sapesse rimanere uguale anche con la rotazione democratica dei nomi dei lati, poggiando indistintamente su ciascuno di loro. Anche l'altezza, a forza di dannarsi a partire da ciascuno dei tre angoli e avendo come risultato quello di rimanere sempre uguale, è rimasta vittima di una profonda crisi d'identità... persino il fulgore del suo tratteggio s'è offuscato, e piove giù senza convinzione. 

Discorso diverso per il triangolo scaleno, il diverso per eccellenza. All'inizio era fiero della sua diversità, e se ne faceva un vanto. Si pavoneggiava ostentando il suo anticonformismo ed era sempre di un umore frizzante, non privo di un fondale di vaga ironia.
Poi, dopo un periodo in cui in molti si sono sforzati di restituirlo ad una qualche conformità pur nella diversità, s'è stancato del suo preteso ruolo di eccentrico ed ha trasformato la sua ironia, prima in sarcasmo, poi alla fine in rabbia.
E' il triangolo più incazzato che c'è, i suoi angoli pungono, e il suo essere sbilenco si diverte a pungere lo sguardo.

Io da piccolo avevo deciso di inventare un triangolo nuovo, diverso da tutti questi... ho fatto vari tentativi, ma mi portavano sempre a forme geometriche che poi scoprivo essere già esistenti.
La frustrazione si faceva strada dentro di me, e stavo per desistere, fino a quando non ebbi finalmente l'illuminazione. Come sempre le grandi cose si scoprono in un modo che spesso a che fare col caso: vidi gli occhiali di mio babbo sul tavolo, disegnai con cura un piccolo triangolo, presi gli occhiali e avvicinandoli e allontanadoli, inclinando le lenti e sperimentando ogni sorta di manipolazione visiva... inventai il triangolo vivente... iltriangolo che si muove di continuo per sfuggire ad ogni  definizione, ad ogni teorema di tutti i pitagori e gli euclidi possibili.
Mi presi del tempo per trovare al triangolo vivente un nome che fosse più accademico, che potesse fare un po' di impressione, che fosse credibile anche già solo da come suona.
Avevo bisogno di qualche consiglio, così cominciai a chiedere in giro, ma nessuno mi prendeva sul serio.
Allora feci da solo, capii che non potevo allontanarmi troppo dai nomi realmente esistenti. Proprio quando stavo per demordere mi venne l'ispirazione... una volta chiesi al vigile della piazza cos'era l'ispirazione, lui mi disse di respirare forte con il naso, allora io lo facevo sempre quando ero alla ricerca di un'idea, ma non funzionava granchè... a forza di respirare mi girava la testa e il cervello rimaneva comunque vuoto.
Decisi di provare a spostare o sostituire qualche lettera a partire da un nome già esistente. Me ne venne uno che sicuramente poteva andare: la mia creatura l'avrei chiamata triangolo rottangolo.
Cazzo che nome... sì, sì, poteva andare... angoli deformati, quindi rotti.
Non rimaneva che la prova finale, il battesimo del fuoco.

Andai dal barbire Gianni, il mio amico adulto che sapeva tutto, e gli esposi con cura tutta la faccenda. Lui ascoltò, poi si tolse gli occhiali per pulirli (questo di solito era un buon segno)... mi guardò con i suoi occhi che senza occhiali mi sembravano piccolissimi, sorrise e disse:
No... non va bene... se le geometria la fai muovere dopo non è più geometria... a meno che non fai ruotare le figure e dopo diventano solidi... comunque ad un certo punto le devi fermare, e così sono geometria... tè capì?...

Io non avevo capito quasi niente, ma mi fidavo ciecamente di lui, allora andai a casa, restituii gli occhiali che avevo fregato a mia nonna, presi il libro di geometria e feci a pezzi tutte le pagine con le forbici... poi le riincollai su dei fogli bianchi.
Finalmente avevo liberato il lati dagli angoli, fatto uscire le altezze, incollato pezzi diipotenuse a spruzzo in cima ai vertici, piegato le bisettrici... e le aree non si potevano più calcolare... e i teoremi remavano a casaccio.
La geometria adesso era un paese libero, sulle pagine splendeva un sole più convinto, oppure pioveva... tutto era libero.
Avevo liberato la geometria.

Il titolo di quel libro sarebbe stato Geometria liberata.

Venni redarguito a viva forza dalla maestra per aver distrutto il libro di geometria, che così era inutilizzabile.
Venni punito aspramente da mio padre, che aveva una visione della geometria molto poco "liberata".
La mia passione per la geometria ebbe così un brusco stop.
E cominciai a mettere le mani sulla chitarra... una Eko da 7.500 lire finita in casa chissà come.

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